Full text: Zeitungsausschnitte: Sonstige Veröffentlichungen Herman Grimms

Staatsarchiv Marburg, Best. 340 Grimm Nr. Z 31 
10 APPENDICE DEL DIRITTO 
ERMANNO GRIMM 
CUOR DI UAICIULLA 
DAL TEDESCO 
Ir» un batter d’occhio sparì l’immagine 
di lui ; e allora le sembrava sentirsi pe 
netrare nell’animo un dolore immenso ; e 
avrebbe voluto abbandonare suo padre, 
Alberto, Teresa, ogni cosa al mqndo, solo 
per seguire quella gondola tenebrosa, ri 
vederlo ancora e poi affogarsi nel mare. 
E quel dolore segreto e profondo la so 
praffaceva a segno da non poter più te 
nere le lacrime, e come prima Alberto 
le parlò, la sua voce le faceva tanto male 
che volentieri si sarebbe gettata nell’acqua, 
solo per non dovere più udirla. 
E nello stesso tempo un’altra voce, da 
lei non inai sentita fino a quest’ora, le 
parlava nell’intimo suo della possibilità 
dì un avvenire, come non aveva mai osato 
sperarlo, perchè fino allora non aveva mai 
compreso neafff-he il proprio passato. 
Per la prima volta le venne come un 
vago convincimento di avere anch’essa una 
volontà e di poter esigere dagli alili che 
la rispettassero, come quella a cui soltanto 
era ornai decisa a piegarsi. 
Così pensava la fanciulla, mentre pren 
devano terra ; e prima che Alberto aves 
se potuto offrirle il suo aiuto, essa era 
già saltata sui gradini di pietra ; e benché 
dovesse accettare di poi il suo braccio, 
pensava pure, facendolo : 
— Lo prendo, perché non posso rifiutarlo. 
Oh! se venisse mai il giorno che potessi farlo. 
Con simili pensieri Emma si addor 
mentò. Ma, cosa strana, ciò che essa nel 
la gondola aveva sentito così forte, e di 
poi aveva pensato con tanta chiarezza, il 
mattino seguente si trovava non essere 
altro che un sovvenire confuso : anzi, la 
sera, quando Emma attraversò col pro 
messo sposo la piazza illuminata e piena 
zeppa dj gente, essa provò contento della 
sua protezione e cercò di dimenticare af 
fatto le strane idee che l’avevano assalita 
la notte precedente, meravigliandosi assai 
di queste fantasie di oc un tempo. » La 
poverina chiamava cc un tempo » ciò che 
era stato ieri, e si propose di non voler 
pensare ad altro che al pensiero di vedere 
Pvoma ed il fratello che li aspettava. 
Dapprincipio queirincidente aveva dato 
a pensare ad Alberto, il quale però ben 
presto era riuscito a confortarsi coll’idea 
che Emma, in quel momento dovesse aver 
sentito pur troppo dolorosamente 1’ assen- 
j za delia sorella di cui non cessava mai di 
parlare. 
Invero la risposta che gli aveva fatta 
allora, quel suo « niente » energico, gli 
pareva sempre strano assai, ma in pro 
cesso di tempo cominciò a credere di es 
sersi ingannato, poiché Emma, il giorno 
appresso non si era mostrata diversa del 
solito. Alberto dunque non volle più darsi 
pensiero di questa unica parola misterio 
sa, e di fatto la dimenticò. 
Appena giunti a Firenze, la magica in 
fluenza di Roma vicina si fe’ sentir tanto 
da non permettere che dessero a quella | 
tutto il tempo destinatole. La lasciarono 
dunque, e prima che fosse cessato il bel 
tempo, si trovarono domiciliati nell’eterna 
città, in una bella abitazione comodissima. 
Qui solamente fu completo il godimento 
di Alberto. Qui a Roma egli conosceva 
ogni casa, sto per dire ogni pietra ; e per 
le cose nuove, venute, su negli ultimi anni, 
trovò una guida eccellente in Enrico, fra 
tello di Emma, il quale gli si era affezio 
nato al primo conoscerlo. 
Quanto ad Emma si può dire che tutto 
Tesser suo si schiudeva, si svolgeva in 
quel mondo nuovo, la cui bellezza era 
indefessa a voler conoscere ed am 
mirare. 
Senza nemmeno accorgersene, la giova- 
netta diventò ben presto come il punto 
centrale di un circolo mollo amabile, for 
mato da persone coltissime, e solo intente 
a godersi il bello quanto più potevano, 
dacché per la più parte, fossero venute 
qui col proposito di riposarsi e di ricrearsi 
da qualche lungo lavoro mentale. I più gio 
vani, per altro, che non avevano avuto 
ancora il tempo di operare, erano avidi di 
raccogliere cognizioni ed impressioni atte 
da dilettarli. Da tutti Emma era ben ve 
duta, e tutti, per cosi dire, gareggiavano 
ad aprirle quell’immenso tesoro di ric 
chezze, contenti di vedere riflettersi nel 
l’anima di lei ogni immagine nobile e 
bella; e così la fanciulla imparava a di 
stinguere le cose ed a giudicarle. 
Questa vita si faceva da mattina a sera 
ed oh ! come era bella. Che piacere di 
andare comodamente in carrozza attraverso 
la campagna, di salire a cavallo le vie 
montuose dei dintorni, od anche di pas 
seggiare nei giardini e luoghi pubblici ! e 
poi la sera, che festa ! Si faceva la con 
versazione, si udiva la musica, si ballava 
talvolta, ovvero si andava a vedere le gal 
lerie statuarie al lume delle toreie, ossia 
la città al chiaro di luna. 
E ogni mattina poi, che piacere sempre 
nuovo il sentir mormoreggiare quelle fon 
tane instancabili che brillano al sole e pa 
iono invitarti di venire ad ascoltarle. 
In tal modo passò l’inverno che fu stra 
ordinariamente dolce, sicché gli alberi già 
cominciavano a sbocciare e il caldo si fa 
ceva sentire mentre i nostri amici erano 
ancora ad aspettare che il freddo venisse 
davvero. 
Una sera erano in conversazione da una 
famiglia francese, frequentata da tutto il 
bel mondo, la quale riceveva un tal giorno 
della settimana; quando a un tratto, En 
rico si accorse come sua sorella lasciava 
la società per venire in una stanza piut 
tosto deserta, dove egli, secondo la sua 
abitudine, stava un po’ iu disparte. Silen 
ziosa gli si pose accanto, appoggiandosi 
contro lui e prendendogli la mano colia 
sua che era gelata; poi mise il capo sulla 
spalla di lui, ma senza dir neppure una 
parola. 
— Ti senti male, cara bambina ? — 
chiese Enrico tutto inquieto. 
— Credo di sì — disse Emma con voce 
sommessa. — Vorrei tornare a casa, e ti 
pregodi accompagnarmi. Ma non dir nulla 
agli altri. Andiamocene soli. 
— Voglio pure dirlo a qualcuno, perchè 
non s’inquietino. 
Ciò detto si allontanò per un istante, 
dopo di che si avviarono insieme verso 
casa nel fitto della notte. 
La loro abitazione era sul Campidoglio, 
e quando furono in mezzo alla scala, Emma 
si fermò d’uu tratto, e lasciatasi cadere 
sulla pietra, disse al fratello : 
— Sono stanca quasi avessi del piombo 
nelle ginocchia. 
L’altro le prese la mano, e toccandole 
il polso : 
— Non hai alcuna febbre però. Ti sa- 
I rebbe accaduta qualche altra cosa, bam 
bina mia? 
-, — Oh, caro frate'lo, vorrei che non a- 
j vessi mo mai lasciata la casa paterna, nè 
■ anche tu, e che vi stessimo ancora insie- 
j me tutti e tre. Allora non ci sarebbe ac- 
: caduto nulla. Colà eravamo felicissimi, 
j Ciò detto, diede in uno scoppio di 
! pianto. 
—■ Ora dunque non sei felice, Emma 
i mia ? L’avrei detto pure. 
! — Affrettiamoci di giungere a casa — 
. rispose la sorella alzandosi. 
Dopo un poco furono raggiunti dal ge 
nitore e da Alberto che arrivò accompa 
gnato da un medico. Ci fu anche un con 
sulto e tutti si tranquillizzarono quando 
il dottore ebbe prescritto qualche lieve 
calmante. 
Il mattino appresso Emina venne a far 
colazione come al solito, e già trovò in 
casa alcuni conoscenti venuti per chiedere 
di lei. 
La fanciulla era alquanto pallida ed a- 
veva gli occhi stanchi e le palpebre un 
po’ rosse, ma sembrava che fosse cresciuta 
durante la notte, tanto pareva grande. 
Preso il suo posto iu tavola, mangiò in 
silenzio e poi andò a mettersi sul balcone 
die era tutto al sole, e fissò gli occhi in 
giù sulle folte cime degli aranci che sta 
vano al di sotto. Alberto l'aveva seguita 
e, appoggiatosi auch’ esso sul parapetto 
presso di lei : 
— Non ti sei rimessa ancora ? — le 
disse. 
Emma lo guardò freddamente e disse 
asciutto : 
— Al contrario. Mi sento benone. 
Ed alzatasi lentamente, tornò nella stanza 
e si fece presso alla finestra : Alberto le 
si accostò di nuovo, il che vedendo Emina 
mise la mano intasca e dentro vi strinse 
un plico di carta, ma senza cavarlo fuori; 
poi, dopo un poco tornò sul balcone e vi 
si pose a sedere, questa volta senza essere 
seguita da Alberto, il quale non si rimosse 
dalla finestra. 
— Che cosa è accaduto alla nostra bam 
bina ? — chiese Enrico, e accostando- 
segli. . 
Il padre ci venne anch’egli, e tutti e tre 
stavano a contemplare Emina, come ce 
deva lì sul balcone, appoggiando ne 
mano la vezzosa testa bionda, e non fa 
cendo mai alcun movimento. 
/ Continua/
	        
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