Hessisches Staatsarchiv Marburg, Best. 340 Grimm Nr. Z 31
J3 APPENDICE DEL DIRITTO
ERMANNO GRIMM
CUOR DI FAICIULLA
DAL TEDESCO
— Anche concesso che io abbia il torto
— esclamò, balzando in piedi — non
soffrirò però che egli possa dire di aver
mela strappata ; no, questo non sarà, me
lo sono giurato e terrò la mia parola.
Gli parve impossibile il consentire ad
essere diviso da Emma, appunto perchè
flessa non era più quella ; non era più
solamente una fanciulla vezzosa, un bel
gioiello, un ornamento atto ad abbellire
la vita di chi Io possiede, senza però im
poverirlo, se mai gli fosse tolto ; una
cosa che si perde con rincrescimento ma
senza crepacuore.
Appunto l’aver veduto Emma cosi ar
dita, così appassionata, la faceva più bella,
più desiderabile agli occhi di Alberto ,
ed era determinato a vincerla, a farsi
amare davvero : alla qual cosa egli non
aveva mai pensato prima d’ora.
Tutto sprofondato in cotali appassionati
pensieri Alberto non si accorgeva che già
da un pezzo qualcuno stava a picchiare
all’uscio. Avvedutosene finalmente, fece
entrare Enrico, il fratello di Emma.
Questi dapprincio non fece motto, ed
avvicinatosi al tavolino, si mise ad esami
nare con ogni cura le numerose antichità
rinvenute di fresco che coprivano i mobili
di Alberto ; nel tempo stesso però dava,
di quando in quando, uno sguardo inter
rogativo all’altro, il quale passeggiava a
passi concitati e collo sguardo a terra ; e
poi finalmente andò a mettersi sopra una
seggiola, la quale però ebbe cura di al
lontanare prima dalla lucerna d’ ottone a
tre lumi che rischiarava a stento la ca
mera.
— Non è vero che prima di venire qui,
tu hai avuto un colloquia con Emma?
chiese allora Enrico con tuono piuttosto
indifferente.
Egli era un giovine di animo tenero e
delicato, che perdeva la facoltà di parlare
ogni volta che era fortemente commosso;
sicché doveva cercare di frenarsi più di
ogni altro. Ecco perchè sembrava freddo e
scevro di affetto nei momenti in cui sof
friva di più.
Come, per altro, poteva riscaldarsi assai
quando si trattava di cose di minor im
portanza, era tenuto per un egoista da
chi lo conosceva poco ; e massime da co
loro che cavano un certo piacere da
qualsiasi forte commozione, nè sanno com
patire a quegli altri che affrontano in si
lenzio e con occhio piuttosto osservatore
ogni evento improvviso quanto impor
tante, il quale lascia poi nelle anime loro
un’ impressione ben altrimenti profonda.
Alberto rispose collo stesso tuono alla
domanda fattagli con tanta indifferenza.
— Sì, abbiamo parlato insieme. Perchè
me lo domandi?
— Perchè or ora nell’attraversare quella
stanza che a me sembrava vuota, toccai
col piede un corpo....
— Misericordia l che cosa è accaduto ad
Emma? — gridò Alberto, balzando in pie
di e aggrappandosi al braccio dell’altro.
Egli si era fatto bianco, e tremava
tanto da muovere a compassione il buon
Enrico.
— Nulla di peggio che un deliquio —
replicò precipitosamente. —- Mi spaventai
anch’io quando la trovai senza vita sul
pavimento. Naturalmente non feci alcun
rumore, la levai su, e la deposi sul suo
letto nella stanza contigua. Le fregai le
tempia con dell’acqua di Colonia, e la
vidi rinvenire presto; ora si è addor
mentata.
— Dio sia lodato! — esclamò Alberto
che l’aveva ascoltato quasi senza fiato.
L’altro continuò:
— Come prima trovai Emma, essa te
neva in mano un plico che io le tolsi, ma
che volle riaver subito, appena che fu
rinvenuta.
— Tu però hai letto quel plico?
— Sì, lo lessi dopo che Emma si era
addormentata: era facile cavarlo dal di
sotto del guanciale, dove ella l’aveva messo,
e poi rimetterlo colà. In fondo non era
lecito il farlo; tuttavia mi parve scusabile,
poiché non fui mosso da un’indiscreta cu-
1 riosità.
Alberto tacque per qualche minuto e
poi con tuono indifferente :
— Conosci forse quel giovane?
— Sì, lo conosco benissimo e avrei vo
luto introdurlo in casa nostra, ma egli
non volle; anzi mi fece promettere di non
mai nominarlo ai miei. Il perchè non
me lo disse, ed io ero ben lungi dall’in-
dovinarlo.
j — Dimmi schietto ciò che ne pensi.
! — Poiché vuoi saperlo, ti dirò che egli
è il primo giovane cui voglio un bene
dell’anima. Fu questa la mia impressione
! al primo vederlo, ma non ti avr c ei parlato
di lui, se non mi avessi chiesto una rispo-
i sta schietta.
1 Alberto non disse più altro; e il gio
vane, facendo egualmente, si rimise ad
esaminare gli oggetti sparsi sul tavolo;
come se presentisse che sarebbe ripi
gliato il discorso: ma veduto che Alberto
non rompeva il silenzio, gli augurò affet
tuosamente la buona notte e si ritirò.
L’altro rimase immobile sulla sua seg
giola per molte ore, non badando allume
che si consumava più e più, e finalmente
si spense, senza che Alberto se ne fosse
accorto, tanto era immerso nei suoi pen
sieri torbidi.
Levati alla fine gli occhi, si avvide di
stare nell’oscurità ; e allora accese un
lume e guardò 1’ orologio ; e poi uscì
dalla stanza per discendere nell’altro pia
no, dove abitava la famiglia. Andato ta-
' stoni attraverso parecchie stanze scure,
giunse dinanzi a quella di Emma, e qui
si fermò all’uscio per sentire com’ella re
spirava.
Ritiratosi dopo un poco, vide che la
porta del balcone era aperta ed uscì
fuori.
La notte era calda, senza nessuna stella;
ma dopo un poco potè distinguere , seb
bene a stento, la linea che separala il
corpo massiccio e nero delle case dal cielo
nuvoloso.
Gli aranci al di sotto non movevano
neppure una foglia, e niun suono inter
rompeva il silenzio notturno, eccetto lo
scroscio lontano di qualche fontana. Talora
gli pareva sentire non so che d’aria me
lodiosa che sembrava un tempo dover farsi
più dappresso; ma poi cessò d’un tratto.
Alberto si era appoggiato sul parapetto
e rimaneva lì a contemplare lungamente
il cielo tenebroso, ed a respirare l’aria
della notte, e come stava li, sentì fuggire
ad uno ad uno tutti i pensieri iracondi
e cattivi che l’aveano travagliato tanto, e
l'anima sua tormentata si abbandonala
tutta a quella pace dolcissima.
Egli tornò un’altra volta All’uscio di
Emma e senti che dormiva, tranquilla; poi
rimontò nella sua stanza e si mise a
letto.
La mattina verso le dieci, Alberto si
lasciò rivedere da basso. Egli trovò le fi
nestre aperte colle tendine calate a riparo
del sole ; il padre di Emma, seduto presso
la tavola, stava leggendo i suoi giornali
tedeschi con, l’espressione di chi è tran
quillo e lieto ; Emma, un po’ pallida,, era
occupala in non so che domestica fac
cenda. Alberto non le porse la mano; tut
tavia il suo saluto fu garbato assai, *e do
mandatole come avesse dormito, le pro
pose di andare a far una piccola passeg
giata con lui.
Essa lo guardò con atto di sorp/esa, ma
assentito brevemente, andò subit o a pren
dere il suo cappello. Alberto la fjeguì collo
sguardò e notò quanto ì’andarnento di lei
era divenuto più sicuro; no, Emma non
era più una ninfetta leggiadra, saltellante,
per il bosco e appena to ccante l’erba; era
ornai una donna fatta, dal portamento su
perbo; ed ogni piejra del suo vestito era
una parte della Sua bellezza.
Alberto le 'aveva dato il braccio e la
conduceva giù per il Foro Romano. Come
passavano sotto gli archi di trionfo, egli
pensò ^i re incatenati che, secoli fa, aveva
no dovuto seguire il carro del loro vin
citore; ed immaginò di poter comprendere
bene ciò che essi avevano sentito allora.
Passando, diede uno sguardo freddo agli
avanzi di quei templi, di quelle colonne
già vedute da lui con tanto entusiasmo;
ora non gli parevano altro che delle pie
tre indifferenti, delle pietre che non si
curavano di lui e dei suoi dolori; e se in
quel punto avesse veduto qualche uomo
barbaro ed ignorante in atto di rovinarle
non si sarebbe fermate per 'vietarglielo.
/ Continua)
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